ISKO Italia. Documenti

Organizzazione della conoscenza

Come mi vuoi, ossequioso o assertivo?

da AIDA informazioni, 34: 2016, n. 3-4, p. 127-130

di Claudio Gnoli

Uno dei relatori su invito previsti al congresso britannico dell'ISKO del 2015 era Patrick Lambe, l'esperto di tassonomie che sta promuovendo l'organizzazione e gestione della conoscenza a Singapore, anche attraverso una nuova serie di eventi informali dedicati alle “Innovations in knowledge organization” [ikoconference.org]. Nei giorni precedenti il convegno però, facendo un'escursione in Irlanda, Patrick si è rotto una caviglia restando costretto a un periodo di immobilità. Questo incidente ha prodotto d'altronde un risvolto fortunato, perché il relatore ha sostituito il suo intervento con un video registrato in casa estremamente efficace, che così possiamo tuttora vedere in Rete [vimeo.com/133312790; il testo è pubblicato su «Knowledge Organization» 42, n. 6, p. 445-455].

Argomento dell'intervento è l'impatto sociale dell'organizzazione della conoscenza, che viene discusso a partire da alcuni casi storici. Sebbene molti possano pensare che la nostra sia una specialità puramente accademica che non rappresenta, come si suol dire, “questioni di vita o di morte”, Lambe (che non fa l'universitario ma il consulente) avverte che a volte invece è proprio così: nel 2000 a Londra la bimba ivoriana Victoria Climbié, che mostrava segni di torture subite in famiglia, non venne classificata dalla polizia come un caso prioritario, cosicché la situazione fu lasciata proseguire nella stessa direzione fino a portare alla morte dell'interessata. L'organizzazione della conoscenza nelle basi-dati delle istituzioni e delle aziende influisce pesantemente anche sulla vita di tutti i giorni.

Lambe esorta chi si occupa di organizzazione della conoscenza a prendere coscienza di questa rilevanza sociale e pensare a “un ruolo più proattivo” per la specialità, trasformandosi “da catalogatori a progettisti”. Questa visione è in contrasto con una certa tradizione secondo cui i sistemi di organizzazione della conoscenza (KOS) dovrebbero limitarsi a rispecchiare fedelmente il modo in cui le informazioni sono organizzate nei documenti che vengono indicizzati. A tale linea appartiene per esempio il vecchio principio di garanzia bibliografica di Hulme, secondo il quale un KOS deve contenere soltanto i soggetti sui quali le biblioteche possiedono effettivamente letteratura, senza prevederne altri in anticipo in modo astratto sulla base di un qualche principio interno al sistema. Così ritiene anche la scuola dell'analisi di dominio, che prevede che ogni KOS rifletta la prospettiva di una particolare comunità di utilizzatori di concetti e terminologia, rimanendo invece scettica sulla possibilità di una comunicazione più trasversale e creativa a cavallo tra domini diversi. Molto più ottimista in questo senso è la visione che, con Rick Szostak e María López–Huertas, abbiamo espresso del volume Interdisciplinary knowledge organization appena uscito presso Springer.

In che modo l'organizzazione della conoscenza può porsi attivamente per contribuire a costruire e aggiornare gli schemi delle conoscenze, invece di accontentarsi di riprodurre quelli invalsi fino ad oggi? Per capirlo possiamo considerare soprattutto i campi del sapere che sono in rapida evoluzione negli ultimi decenni, per i quali è quindi necessario un aggiornamento concettuale: esso può essere apportato, insieme agli specialisti, da coloro che si occupano maggiormente della sistematizzazione della terminologia e della struttura di un dominio, ossia, come stiamo imparando a dire, della sua ontologia.

Uno di questi settori è certamente la fisica delle alte energie, che indaga la struttura fine dei costituenti della materia. Al di sotto e accanto agli atomi e ai loro componenti (protoni, neutroni ed elettroni), essa rivela progressivamente una molteplicità di entità, oggi riorganizzate e riclassificate in fermioni e bosoni (l'esistenza reale dell'ultima, il bosone di Higgs previsto dalla teoria, è stata confermata sperimentalmente solo da poco).

Una denominazione tradizionale della disciplina che li studia è “fisica delle particelle”. Tuttavia, come hanno rilevato le osservazioni dell'approccio quantistico condotte man mano nel corso del Novecento, alcune di queste entità — a partire dal fotone — sembrano comportarsi solo in alcuni casi come “particelle” dotate di massa, mentre in altre situazioni sarebbero meglio descrivibili come “onde”: non sembra infatti possibile immaginare una particella materiale che passa contemporaneamente da entrambi i fori praticati in una barriera per poi ritrovarsi dall'altra parte mostrando delle interferenze, comportamento che è invece tipico di un'onda.

La realtà è quella cosa che oppone resistenza ai nostri costrutti: se il dualismo onda–particella ci appare paradossale, non deve essere colpa della realtà, ma dei sistemi concettuali con i quali la descriviamo. Parlare in termini di “onde” e “particelle” va bene soltanto finché stiamo applicando la nostra ontologia a sistemi di dimensioni superiori alle molecole. Quando scendiamo a livelli di integrazione inferiori, forse dovremmo abbandonare le categorie che ci siamo abituati a usare finora, e che tuttora usa molta letteratura specialistica delle alte energie, e accettare di entrare in uno spazio concettuale nuovo.

È necessario allora introdurre termini diversi, nuove classi del KOS adottato dalla teoria fisica più o meno esplicitamente. Hanno provato a farlo il fisico Jean–Marc Lévy–Leblond e il filosofo della scienza Mario Bunge, che hanno introdotto il concetto di quantone per indicare queste entità che non sono propriamente né onde né particelle [Gianluca Introzzi, Il dualismo onda/particella: analisi storica e recenti interpretazioni, in Atti Acc. Roveretana degli Agiati, v. 10 B, s. 8, 260: 2010, p. 5-18]. In una tassonomia generale dei fenomeni, come la Integrative Levels Classification, al di sotto di molecole e atomi non dovrebbe allora comparire una classe delle “particelle” o un altro termine della fisica classica, bensì una classe dei “quantoni”, suddivisa nelle varie sottoentità accertate dalla ricerca.

Un KOS coraggioso, che voglia assumere un ruolo propositivo nei confronti dello sviluppo delle conoscenze senza aspettare decenni per verificare se le attestazioni dei nuovi concetti si diffondono o meno nella letteratura professionale, potrebbe anticipare il processo proponendo esso stesso la classe innovativa coerente con gli ultimi sviluppi teorici e sperimentali. Dopotutto questo processo si è già verificato nelle scienze del passato e nella loro organizzazione, quando si sono abbandonati concetti fuorvianti come quelli di etere o di flogisto, e quando ci si è resi conto che l'aria non è una sostanza primaria, come volevano molte cosmologie tradizionali, ma soltanto una miscela di ossigeno e azoto, che seppur meno immediati da cogliere sono entità più fondamentali e generali.

In termini filosofici, si tratta di porre attenzione a non applicare categorie proprie di un livello di realtà (ad esempio i corpi fisici che vediamo a occhio nudo) a livelli diversi (le entità microscopiche rilevabili alle alte energie), compiendo il tipo di violazione ontologica segnalata da Lorenz [L'altra faccia dello specchio, Adelphi, 1974] rifacendosi all'ontologo Nicolai Hartmann.

Come qui si vede, la sinonimia fra i sensi filosofico e applicativo del termine ontologia non è dopotutto così casuale. Alla base di una strutturazione solida delle informazioni occorre una struttura concettuale teorica. Il collegamento fra l'àmbito sperimentale e quello concettuale dev'essere fornito proprio dall'organizzazione della conoscenza.

 


Come mi vuoi, ossequioso o assertivo? = ISKO Italia. Documenti. Organizzazione della conoscenza. 12 — <http://www.iskoi.org/doc/rubrica12.htm> : 2023.08.10 -