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Un tema antico e sempre d'attualità come la classificazione, pur essendo spesso citato, non fruisce però di occasioni di approfondimento troppo frequenti. Appare perciò utile riferire di una mattinata interamente dedicata ad esso, per merito della sezione piemontese dell'Associazione italiana biblioteche, nella cornice degli spaziosi e trafficati viali lungo il Po: tantopiù vista la caratura dei relatori che vi sono intervenuti, introdotti dal presidente regionale Eugenio Pintore, davanti ad un pubblico prevalentemente locale.
La mattina è stata opportunamente aperta da un grande esperto della classificazione più nota ed utilizzata in Italia: Luigi Crocetti, tra l'altro coinvolto nella realizzazione dell'edizione italiana dello schema, lavoro di cui ha accennato alcuni aspetti.
Nel delineare problemi e tendenze contemporanei della Classificazione decimale Dewey (DDC), Crocetti ha notato innanzitutto come questo strumento, concepito oltre un secolo fa, nella sua evoluzione stia recependo anche sviluppi più recenti della teoria della classificazione. A partire dalla 21' edizione, infatti, gli aggiornamenti non hanno soltanto un carattere enciclopedico, ma riguardano il modo stesso di classificare: nella struttura enumerativa dello schema cominciano ad essere inserite tecniche analitico-sintetiche, per influenza delle ricerche di Ranganathan. A questo concetto si era avvicinato già lo stesso Dewey, nell'impostare le suddivisioni standard utilizzabili per specificare forma, approccio, modo di esposizione ecc. di qualunque classe dello schema. Un esempio di struttura assai evoluta in tal senso è offerto già nella 20' edizione dalla classe 780 "Musica", la cui struttura è interamente a faccette. Questo processo è ulteriormente accentuato nell'edizione 21, per esempio nelle classi 350 "amministrazione pubblica", 560-599 "scienze della vita", e in parte 370 "educazione". Il comitato scientifico che si occupa di aggiornare lo schema intende proseguire in questa direzione anche per il futuro.
Un'altra tendenza nella DDC è la regolarizzazione: ricondurre per quanto possibile lo schema allo schema stesso, applicando in ogni occasione una notazione standard tratta da parti diverse delle tavole: per esempio "educazione delle donne" da 376 è stato ricondotto a 371.82 "scuole per specifici tipi di studente", combinando questo numero con la cifra 2 che nella Tavola 1 indica le donne, e ottenendo 371.822 [*]. Ulteriore proposito è quello di una maggiore internazionalizzazione, sforzandosi di attenuare l'originario sbilanciamento verso la cultura anglosassone, e in genere occidentale, in modo da tener conto anche della documentazione prodotta in altri continenti: è per questo in graduale riassestamento la classe 200 "religione", spesso presa ad esempio per evidenziare i limiti connessi alla relatività culturale delle conoscenze.
L'introduzione di nuove edizioni permette di migliorare e aggiornare lo schema per le esigenze più attuali: nessuna classificazione può essere stabile, e anzi già quando viene pubblicata risulta vecchia rispetto al mondo. D'altra parte, l'arrivo di una nuova edizione pone problemi alle biblioteche che abbiano impostato sulla classificazione il proprio catalogo e il proprio sistema di collocazione: infatti riclassificare è probabilmente l'operazione più costosa di tutta la biblioteconomia. Questo problema andrebbe però sdrammatizzato: nella realtà è naturale che nessuna biblioteca, ad eccezione del momento in cui nasce, sia mai perfettamente allineata a una singola edizione della DDC.
Il lato utopico della classificazione è stato ripreso da Carlo Revelli, che ha ricordato il rischio della deformazione professionale, per cui il bibliotecario può finire per fare della classificazione o del catalogo un fine in sé. Occorrerebbe invece valutare sempre con attenzione (riferendosi anche agli scritti di Osborn) quando sia il caso di spendere risorse per arrivare a dare un'informazione specifica, e quando invece non ne valga la pena.
Un'applicazione particolarmente importante è quella della collocazione, che permette di utilizzare in modo significativo una biblioteca a scaffale aperto. Solo in questo caso, in effetti, una biblioteca si può dire veramente pubblica: obbligare invece tutti gli utenti all'intermediazione del catalogo ha l'effetto di tagliare fuori coloro che non sono in grado di utilizzarlo, o che semplicemente non ne hanno voglia. L'uso della classificazione per collocare instaura fra documenti e classi un rapporto 1:1, in quanto ciascun documento può stare fisicamente soltanto in un posto; quest'ultima costrizione non è invece presente nel catalogo, per il fatto che per uno stesso documento può essere creato più di un accesso. Altra differenziazione fra i due usi è la possibilità, nelle collocazioni, di tagliare la coda della notazione quando risulti opportuno (ad esempio per semplificare la segnatura): nel catalogo sarà possibile specificare invece un numero maggiore di cifre.
Disposizioni del materiale alternative a quelle classificate sono state prese in considerazione da Antonella Àgnoli. Mentre in Italia l'uso della classificazione è abbastanza rigido, esempi interessanti si trovano all'estero: la sperimentazione tedesca della biblioteca a tre livelli, l'organizzazione della narrativa per autori utilizzata in Francia... Oltre che dagli argomenti trattati, infatti, la disposizione dei documenti può tener conto anche dei diversi tipi di uso e dei comportamenti degli utenti. Altre dimensioni non classificatorie che influiscono nella disposizione sono l'accessibilità della posizione sugli scaffali (in alto o in basso, davanti o dietro...), e il formato del documento, come nel caso del materiale multimediale che viene conservato separatamente per ragioni tecnologiche. La diffusione di un modello comune di disposizione, come attuato in biblioteche statunitensi, favorisce gli utenti ai quali diventa familiare, e che possono ritrovarlo nelle diverse biblioteche di cui si servono.
Infine, Eugenio Gatto ha esposto la sua visione secondo cui, nonostante le macchine informatiche siano state costruite proprio con il compito di trattare linguaggi, nel caso dei linguaggi classificatori attualmente esse non sono affatto ben sfruttate. Le notazioni di classe, essendo uno standard indipendente dalla lingua, offrirebbero soluzioni ai problemi di differenze lessicali, che inevitabilmente sono presenti negli altri tipi di linguaggi di indicizzazione. I sistemi di automazione dovrebbero poter mostrare il materiale ordinato dettagliatamente per classi: una volta descritte alla macchina delle regole di ordinamento relative alla notazione, questa dovrebbe semplicemente applicarle. In questo modo verrebbe sfruttata una delle caratteristiche delle classificazioni, la decimalità -- un termine, peraltro, che viene spesso frainteso: esso infatti non si riferisce soltanto a notazioni con base 10, bensì al più fondamentale fatto che le cifre siano usate con significato decimale, in modo da poter esprimere tutti gli infiniti punti compresi fra 0 e 1.
Proprio all'ordinamento risalgono i vantaggi dello scaffale aperto: la biblioteca diventa liberamente percorribile proprio perché disposta in un modo noto. Perché dunque non applicare questo principio anche ai documenti non fisici? Le disposizioni "naturali" possibili sarebbero moltissime, tuttavia un ordine convenzionale risulta utile. In ambiente digitale, peraltro, sono pensabili disposizioni alternative per rispondere ad esigenze diverse. Particolari vantaggi sarebbero offerti a questo proposito dalle classificazioni dette a faccette, espressione che potrebbe essere anche tradotta con "classificazioni multigerarchiche" o "multidimensionali". La classificazione potrebbe essere impiegata come linguaggio comune di ordinamento ad esempio nei metaopac, dove le informazioni bibliografiche sono presentate in molte forme diverse; lo schema cui sarebbe più pratico riferirsi, in quanto il più "parlato", è la DDC, ma nulla vieta di integrare negli opac più di una classificazione alla volta -- ad esempio edizioni diverse della DDC, fornendone l'equivalenza...
Agli utenti dei cataloghi, i numeri di classe appaiono spesso astrusi, col risultato di allontanarli da questo tipo di accesso, a dispetto dell'innata propensione umana a classificare notata da Ranganathan. Perciò sarebbe essenziale rendere possibile un'interrogazione per parole, dalle quali si possa risalire alle classi equivalenti (e non necessariamente la notazione deve trasparire nella visualizzazione). In conclusione, sarebbe giusto che classificazione e catalogo convivessero senza che venisse persa la complessità di nessuno dei due.
* Grazie a Giulia Visintin per la ricostruzione di questo esempio.
Quali spazi per le classificazioni? : tavola rotonda AIB Piemonte : Torino. Biblioteca civica Geisser : 20 gennaio 2001 : resoconto / a cura di Claudio Gnoli (( ISKO Italia -- <http://www.iskoi.org/doc/spazi.htm> : 2004.05.24 - 2004.06.17 -