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Organizzazione della conoscenza
La prima cosa che in una disciplina dovrebbe essere ben chiaro e definito è l'oggetto delle indagini. La micologia si occupa dei funghi, la toponomastica dei nomi di luoghi, la numismatica delle monete. Ebbene, di che cosa si occupa l'organizzazione della conoscenza? Certamente, come si è detto nella prima puntata di questa rubrica, la sua missione sta nell'identificare i metodi e le teorie più adeguati per la strutturazione dei contenuti della conoscenza umana. Il problema, però, è in che cosa consista concretamente tale conoscenza, e che cosa quindi sia possibile assumere come unità di studio e di trattazione.
Anche se la conoscenza vive e si sviluppa nelle menti dei singoli individui, in genere trattando di knowledge organization, knowledge management, knowledge representation non ci si riferisce tanto al livello psichico, quanto ad un livello di integrazione superiore condiviso da tutta una società o una cultura: quel corpus di idee e competenze che viene trasmesso attraverso le generazioni, trascendendo così le menti individuali. È quello che Nicolai Hartmann chiama lo “spirito oggettivato” e che Karl Popper identifica come il “mondo 3”, comprendente le creazioni dell'intelletto umano quali opere d'arte e teorie scientifiche, e distinto dai mondi materiale e psichico.
Nell'identificare i concetti fondamentali delle discipline della documentazione, Riccardo Ridi (Il mondo dei documenti, Laterza, 2010) riconosce la distinzione fra documento, dato, comunicazione, informazione, conoscenza: ma si esprime con scetticismo sulla possibilità di delimitare in modo preciso un concetto vasto e sfuggente come quello di conoscenza. Più solido fondamento gli pare il riferirsi ai documenti, espressione materiale della conoscenza, questi sì studiabili in modi più obiettivi e precisi. E in effetti l'organizzazione della conoscenza si focalizza tradizionalmente sui documenti nei quali questa è contenuta, raccogliendo le tecniche di analisi semantica sviluppate dalle tradizioni dei documentalisti, dei biblioteconomi, degli archivisti, tutti abituati a lavorare su pezzi concreti.
Questa soluzione sposta comunque la questione alla definizione di documento. Se, con Ridi, intendiamo per documento qualsiasi vettore di informazioni, nel senso più generale del termine informazione, allora paradossalmente qualsiasi cosa può diventare un documento nel momento in cui sia considerato tale: la nuvola all'orizzonte è un documento in quanto ci informa su certe condizioni di pressione atmosferica — una nozione che ci ricorda quella di segno adottata dai semiotici. Una tale generalità ci porterebbe però a conclusioni scarsamente utili, come quella che l'organizzazione della conoscenza si occupi di tutto. Ci converrà innanzitutto chiarire che per segno o per documento intendiamo una forma di comunicazione intenzionale, prodotta per essere fruita e compresa da altri (presumibilmente da e per esseri umani, o al limite scimpanzé o extraterrestri, ma sicuramente non vapore d'acqua).
Una questione ulteriore riguarda poi le forme che questo documento possa assumere. Il fatto che siamo abituati a pensarlo fatto di pagine di carta non esclude, ovviamente, che anche lapidi romane, documentari video o siti web siano supporti di conoscenza suscettibile di essere organizzata. Non sono qui le caratteristiche del mezzo che ci interessano, ma i contenuti del messaggio. La definizione canonica di pubblicazione con un supporto fisico prodotta in più copie ha oggi poco senso, già solo nel momento in cui si cerca di applicarla ai documenti digitali in rete, come ha ricordato recentemente Carlo Revelli (Il mestiere del bibliotecario visto da un particolare “osservatorio internazionale”, in Il mondo in biblioteca, la biblioteca nel mondo, Milano, 13 marzo 2009, Bibliografica, 2010). Di fatto anche pezzi unici, ma riproducibili, quali un sito, un dipinto o una carta d'archivio possono essere indicizzati per soggetto altrettanto bene che un volume a stampa. In tutti si possono identificare un'opera e una serie di sue realizzazioni (instantiations) che possono essere oggetto dell'organizzazione della conoscenza, riflette Richard Smiraglia (When is a terracotta hut urn like a sailor's deck-log?, in Museums and the Web 2007, San Francisco, <archimuse.com/mw2007/papers/smiraglia/smiraglia.html>).
Tale nozione estesa di documento si va diffondendo anche presso l'IFLA, la federazione internazionale dei bibliotecari, che non a caso ha organizzato nel 2008 un incontro con le omologhe federazioni degli archivisti (ICA), dei curatori di archivi audiovisivi (CCAAA) e dei museologi (ICOM). Il concetto di opera che è alla base del modello FRBR può infatti essere utilmente esteso a comprendere testi pubblicati, pezzi unici, ed anche artefatti. Si perviene così ad una concezione unificata di LAM: libraries, archives, and museums. A questa visione allargata si sono ispirati di recente i professionisti canadesi nel costituire i Libraries and Archives Canada, istituzione destinata a documentare l'insieme del patrimonio culturale (documentary heritage) di quello stato, compresi gli archivi e alcune collezioni museali, come ha illustrato Ingrid Parent (Convergenza e integrazione tra biblioteche, archivi e musei: una tendenza internazionale, in Il mondo in biblioteca, cit.).
Possiamo allora riconsiderare la nozione di documento come qualsiasi oggetto che sia conservato e consultabile al fine di trasmettere conoscenza. Non è un documento il vapor d'acqua in genere, ma lo è un campione di vapor d'acqua raccolto in una certa località ed esposto in un museo scientifico con l'accompagnamento di un pannello esplicativo, per servire da illustrazione di certi fenomeni chimici o climatici. La conoscenza, cioè, può trasmettersi anche in forma di esemplari presi a rappresentanza di una certa classe di fenomeni (un'antilope nello zoo per mostrare come sono fatte le antilopi in generale), così come si trasmette in forma di filmati, o fotografie, o dipinti, o descrizioni in un libro degli stessi fenomeni. In questa prospettiva, appare ancora più chiaro come l'organizzazione tradizionale per discipline venga rimessa in discussione: non solo per lo stemperamento delle divisioni disciplinari a cui abbiamo fatto riferimento due puntate fa, ma anche perché le discipline sono legate a quelle forme bibliografiche che sono state canonicamente considerate i prototipi della conoscenza. Se invece ci occorre essere interdisciplinari e intermediali, appare più promettente un approccio che assuma come unità di organizzazione i fenomeni oggetto di conoscenza, in modo tale che un sistema di KO ci permetta di reperire con una stessa ricerca un libro sulle zampogne, un documento d'archivio in cui sono citate zampogne, un affresco in cui compare una zampogna, e un esemplare di zampogna conservato in un museo (C. Gnoli, Classification transcends library business, Knowledge organization, 37: 2010, n. 3, p. 223-229).
Di che cos'è fatta la conoscenza? = ISKO Italia. Documenti. Organizzazione della conoscenza. 6 — <http://www.iskoi.org/doc/rubrica6.htm> : 2023.08.10 -